
Stamane ho visto, colpevomente in ritardo, la replica di “Che tempo che fa” del 15 marzo scorso, ospite in collegamento David Quammen, autore di Spillover.
Per chi non lo sapesse, questo signore nel 2012 predisse con una certa accuratezza di evidenze scientifiche l’avvento del coronavirus e le dinamiche che lo avrebbero reso pericoloso per l’uomo, permettendo quello che si chiama “salto di specie” (spillover, appunto), ovvero il passaggio da una specie animale all’essere umano, che per tanti motivi è terreno fertile per un virus con quelle caratteristiche.
Tra le varie considerazioni, tutte evolute ed eccellenti, Quammen lamenta, doverosamente, la grave remissività della politica a gestire con atteggiamenti preventivi un’emergenza che si presentava già come tale e che aveva dato avvisaglie con tempistiche che permettessero di intervenire tempestivamente.
E ho pensato come purtroppo anche in questo caso sia stata confermata la prassi consolidata per cui gli scienziati – e più in generale la “gente studiata” – venga sempre criticata e additata come cassandra, rompicazzo allarmisti inutili, mentre la politica, quella becera in cui emergono le Taverna, i Salvini, le Meloni e altra gente buona solo a gridare e puntare il dito contro qualcuno per averne ritorno di immagine, se ne fotte di tutto e di tutti, tanto poi se le cose vanno in merda ci sarà qualcuno che ci pensa.
E immagino anche scenari alternativi in cui invece qualche isolato comportamento virtuoso e lungimirante previene la crisi pandemica, evitando il peggio, creando le condizioni ideali per questi sciacalli che mesi dopo potranno dire, indisturbati, che “sono stati buttati soldi degli italiani per un qualcosa che non è mai avvenuto”.
Lo sciacallaggio è il cornavirus della politica contemporanea, che ha fatto il salto di specie molto tempo fa, purtroppo.
Mi auguro che, finita questa emergenza, cercheremo un vaccino anche per questo.
D.M.
PS: come si legge nell’intervista, Quamman indica chiaramente, senza possibilità di dubbio, l’alterazione del clima e degli ecosistemi dovuti all’azione dell’essere umano come condizione necessaria per il salto di specie.
Un altro punto per Greta, quindi.