In una celeberrima gag dei Simpson, Lisa conforta un inconsolabile Homer spiegandogli, metaforicamente, che i cinesi usano la stessa parola sia per “crisi” che per “opportunità”: “crisortunità” e il neologismo esilarante che conia il panzone, fondendo i due termini ed introducendo il concetto che dalle situazioni di difficoltà possano scaturire anche occasioni di miglioramento.
In questi giorni si parla molto delle opportunità che potrebbero nascere dalla crisi mondiale del coronavirs: una di queste è sicuramente la questione climatica.
Infatti molti indicatori raccontano che la diminuita attività produttiva dovuta alla quarantena ha un effetto positivo ed immediato sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico.
Tuttavia, in un esaustivo articolo su Internazionale, Gabriele Crescente ci spiega, dati alla mano, come tutte le crisi economiche significative dell’ultimo mezzo secolo abbiano sempre portato, dopo un’iniziale riduzione delle emissioni inquinanti, ad un successivo trend di innalzamento significativo delle stesse, in nome di una ripresa economica doverosa e necessaria.
Lo stesso potrebbe capitare ora, se si verificassero due condizioni: la prima che per favorire il rilancio dei singoli stati si facesse ricorso anche ai tradizionali – e molto inquinanti – sistemi produttivi, a sfavore di quelli più virtuosi ed ecosostenibili; la seconda che le risorse delle finanze pubbliche, che sostengono il 70% degli investimenti mondiali in energia pulita, vengano dirottate interamente verso misure straordinarie di stimolo alla ripresa, sulla base peraltro di un’argomentazione solidissima e pressochè inattaccabile (pena l’esser tacciati di antipatriottismo).
Sarà quindi potenzialmente facile per tutti quegli stati sovrani che, in assenza di un assetto condiviso a livello planetario in questo senso, vorranno abbattere i fastidiosi vincoli degli accordi climatici in nome della salute economica del proprio popolo.
E non penso solo alle centrali a carbone della cui riapertura si parla per il rilancio cinese, ma anche della selvaggia deforestazione e riconversione di vastissimi habitat incontaminati, per incentivare la produzione ed il mercato (ve lo immaginate Bolsonaro e colleghi d’area come si sfregano le mani?).
Quindi, incrociando questo meccanismo con quello spiegato da David Quammen nel suo “Spillover” (di cui abbiamo già ampiamente parlato), per cui il “salto di specie” dei virus avviene principalmente per la sconsiderata alterazione degli ecosistemi planetari, otteniamo un circolo vizioso senza uscita:
1) inquinamento ed alterazione degli habitat naturali in nome del profitto
2) salto di specie con diffusione di pandemie a livello globale e conseguenti crisi economiche e finanziarie
3) misure di ripresa economica che mettono in secondo piano le questioni climatiche ed ambientali che hanno causato il salto di specie
4) tornare al punto 1
Verrebbe da dire che siamo spacciati, soprattutto considerato che una parte consistente delle democrazie occidentali sono guidate da leader politici ecoscettici e fanatici del profitto a tutti i costi come unico valore e che faranno di tutto per accaparrarsi i posti migliori del dopo-pandemia, a qualsiasi costo.
Benvenuti nella giungla globale.
D.M.