L’ignoranza e la vendetta

Ancora un orrendo caso di revenge porn, quella macrogalassia degenerata in cui perbenismo, bigottismo e maschilismo danno il loro meglio e che avvelena la nostra società, cosiddetta civilizzata.

Succede in un piccolo comune in provincia di Torino, dove un ex fidanzato manda foto compromettenti, ricevute dalla donna ad uso privato durante la relazione, alla chat del calcetto.

Dove viene intercettata dalla moglie di uno dei compari di chat, che riconosce nella donna una delle maestre d’asilo del posto.

Quindi pensa bene innanzitutto di minacciare la vittima affinchè non parli, per poi far girare ad altre madri il materiale incriminato, facendo arrivare la cosa all’attenzione della dirigente scolastica che gestisce l’asilo, la quale, invece di chiamare immediatamente le forze dell’ordine, decide di licenziare la maestra e di motivare in un intervento pubblico la sua scelta, al fine di “impedire future riassunzioni”, in un tripudio di giustizia privata da piccolo paese di provincia, dove le apparenze devono vincere sempre.

Segue denuncia della vittima, la dirigente processata per diffamazione, l’ex condannato ai servizi socialmente utili e altri provvedimenti ai coinvolti attivamente nella questione.

Ora, tra un conato e l’altro, qui c’è uno spaccato fedelissimo della nostra società postdemocristiana: l’ex tracontante che sputtana la vita privata di una donna, ormai divenuta inutile e senza valore, dandola in pasto ad una chat di bifolchi suoi parigrado, per farsi due risate, due battute grevi e magari pure un paio di seghe; la moglie gelosa che controlla il cellulare del marito, scoprendo la cosa e che reagisce male, capendo inoltre che la diffusione del materiale è cosa perseguibile in tribunale, che quindi minaccia la donna affinchè non coinvolga il marito in azioni legali; una dirigente scolastica, indegna del proprio ruolo, che decide di lavare personalmente nel sangue l’onta subita dall’istituo che dirige, scavalcando la legge, cacciando senza giusta causa la vittima e umiliandola pubblicamente, in una furia cieca di livore medievalista, roba da far sembrare Ruini un intellettuale di larghe vedute.

E poi finalmente un raggio di luce e di speranza, nel mare di guano di quel piccolo comune: la forza della vittima di denunciare tutti.

Non credo che sentenze favorevoli possano cancellare l’abominio subito e le conseguenze esistenziali a lugno termine.

Nè credo che un anno di lavori socialmente utili, per sole otto ore settimanali, possano essere una giustizia congrua rispetto all’enormità del danno, nè mi va giù che basti dirsi “molto pentito” per avere conseguenze blandissime, specie se rapportate all’enormità dell’offesa.

Nemmeno trovo valido il meccanismo di selezione di dirigenti scolastici, che non sono in grado di discernere cosa sia legale e cosa non lo sia, in una situazione come questa o in un’altra totalmente diversa, ma analogamente grave.

Tutto questo perchè nell’Italia a trazione cattomaschilista una vera legge sul revenge porn è pesantemente ostracizzata (metà della popolazione finirebbe giocoforza in galera).

Per non parlare di quelle atmosfere agghiaccianti delle piccole province, dove l’emancipazione femminile è ancora sinonimo di essere una brutta troia e la solidarietà di genere è un crimine contro dio, la comunità e tutte le cose dabbene.

Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male, diceva il sommo poeta.

Ma è ora che le beghine di paese vengano affrontate con strumenti legali che facciano desistere dal considerare le donne come ammassi di carne da appendere a dei ganci sui banchi delle fiere.

D.M.

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