Oggi si tengono le elezioni governative in Germania.
Come spesso accade nelle democrazie occidentali, il risultato del voto è tutt’altro che scontato e lo conosceremo solamente a spoglio ultimato, quando verrà proclamato il nuovo cancelliere tedesco.
L’unica certezza di oggi è che, dopo sedici anni lunghi e intensi, Angela Merkel non farà più parte (attivamente) della politica nazionale e di conseguenza abbandonerà anche la funzione di guida de facto dell’Unione Europea, che ha svolto con notevole autorevolezza e seguito nel primo, complesso ventennio degli anni duemila.
In particolare, la vacanza di questo suo ruolo nella politica continentale schiude nuovi scenari, dato che qualcuno dovrà rimpiazzarla.
Inizia infatti a sembrarmi abbastanza chiaro che Mario Draghi voglia prendere il suo posto – e il suo peso – in Europa.
Fin da subito il premier, fortemente voluto da San Mattarella, ha proposto, oltre al ruolo di risanatore e domatore di leoni in un’Italia sfiancata dal dilettantismo politico degli ultimi trent’anni, anche un’attività da influencer a livello europeo, cogliendo rapido e puntuale ogni fatto di rilevanza internazionale per dettare la linea e indicare la via ad un’Europa ormai orfana della sua leader.
Partendo dal Recovery fund, ha pontificato su tempi, termini e modalità, d’altronde chi meglio di un ex governatore della BCE può illustrare a chiunque come muoversi in questo ambito, senza paura di essere contraddetto?
Ci sono poi l’Afghanistan e la questione migranti, sparate in un colpo solo all’attenzione di tutto l’occidente, invocando un G20 che chiaramente intende condurre in prima persona, portando sui tavoli di discussione europea la questione mediterranea, di cui l’Italia è il perno centrale a livello geopolitico e che freme per emergere ormai da anni in chiave nordiafricana e medioerientale.
Approfitta delle decisioni unilaterali di Biden sul ritiro afgano per bacchettare tutti i leader politici sulla subalternità rispetto agli Stati Uniti, sull’esigenza non oltre procrastinabile di un esercito congiunto che ci permetta di avere realmente un peso da protagonisti a livello mondiale e non da sgherri degli USA.
Sfruttando l’inevitabile calo di leadership tedesca dovuto all’uscita di scena della Merkel, Draghi vuole mettersi di mezzo, imponendo la propria statura, l’autorevolezza e, soprattutto, il fatto di aver amministrato per molto tempo il denaro continentale, elargendo favori a tutti, trovandosi quindi nella piacevole posizione di poterne rivendicare da chiunque.
Cosa che potrà dare un vantaggio competitivo all’italia nell’Unione Europea dei prossimi dieci annie forse oltre.
Non dico che l’italia possa diventare la nuova Germania, ovviamente, ma la ripresa certamente ci sarà per via del Recovery, per il fatto che Draghi costituisce di per sè un deterrente al commissariamento europeo (tanto auspicato soprattutto dai falchi tedeschi) e anche considerato che potremmo fare da barriera al tentativo di Francia e Germania di giocarsi a due la gestione dell’Unione, facendo da traino sulla questione mediterranea intesa in senso molto ampio.
Per ampliare e consolidate il ruolo europeo attivo e indipendente a livello internazionale e geopolitico.
Ovviamente queste sono solo congetture, ma il crescente entusiamo con cui si consolida il cosiddetto “Partito di Draghi” in Italia, insieme alla sponda importante del Commissario Gentiloni in Europa, suggerisce l’idea di un progetto a lungo termine largamente condiviso dalle parti politiche – e non solo – trainate dal bizzarro trio Letta – Giorgetti – Conte, specie in chiave post Salvini che potrebbe relegare quest’ultimo nell’inutile limbo impotente dell’opposizione fascio-populista.
Staremo a vedere.
D.M.