Argomento ricorrente degli ultimi due o tre anni, la cosiddetta “cannabis light” è tornata all’ordine del giorno ieri con la porcata dell’indegna presidente Casellato in Senato.
Ma che cos’è esattamente?
Si tratta di varietà di canapa sativa che, opportunamente coltivate, previa selezione geneteica delle sementi adatte, produce infiorescenze contenenti tenori di THC inferiori allo 0,6%.
Il THC (tetraidrocannabinolo) è un principio attivo naturalmente presente nella pianta di canapa ed è una sostanza psicotropa, per intenderci è quella che, quando assunta in quantità, conferisce quella sensazione che viene popolarmente definita “essere fatti”.
Qual è questa quantità? Non ci sono dati precisi, la cosa dipende anche dalla recettività del singolo individuo, quel che è certo e su cui la comunità scientifica e medica concordano è che sotto i pochi punti percentuali quella sostanza non ha l’effetto di cui sopra.
Nel caso della cannabis light si parla di percentuali sotto lo 0,6%, ovvero vaghe tracce di un principio attivo pressochè assente dalla pianta.
La canapa sativa contiene molti altri principi attivi, tra cui il CBD.
Il CBD (cannabidiolo) è il grande tesoro che la canapa così coltivata regala: si tratta di un potente miorilassante, dal costo relativamente basso e facile da estrarre, con svariate applicazioni molto benefiche.
Una volta estratto in purezza, sotto forma di cristalli, può essere assunto in vari modi, tra cui vaporizzato in appositi aerosol oppure inserito in presidi alimentari appositi.
I benefici sono innumerevoli, dal sollievo post allenamento per gli sportivi, professionisti e non (in questo video, il campione di Mixed martial arts Nate Diaz assume CBD al termine di un incontro), al miglioramento della qualità del sonno in sostituzione di farmaci e ansiolitici, come Tavor o Xanax.
Il CBD è un anti psicotropo ed è il principio attivo antagonista del THC, il che significva che il CBD vanifica gli effetti psicotici del THC.
Insomma, la cannabis light praticamente non contiene alcuna sostanza drogante, se non in impercettibili tracce assolutamente ininfluenti sull’organismo e sulla psiche.
Sulla base di queste considerazioni, dunque, definire droga la cannabis light è esattamente come dire che un babà al rhum equivale ad una bottiglia di Pampero, il che è ridicolo.
Ma molto funzionale, a giudicare da come questo tema venga sistematicamente cavalcato dal fronte sovranista, che come sempre adora spacciare disinformazione con fini di becera propaganda.
Solo che qui l’idiozia si spinge molto oltre, rendendo la vita un inferno a tutta la filiera della canapa in Italia, che non si riduce alle sole infiorescenze destinate all’estrazione del CBD o all’essere fumate come alternativa al tabacco senza nicotina (sospetta ‘sta cosa, vero?), ma investe vari ambiti merceologici, da quello alimentare (i semi di canapa sono buonissimi e molto salutari), ai settori del tessile, fino agli ambiti psichiatrici di affiancamento del CBD alle cure a base di psicofarmaci.
Centinaia di milioni di fatturato e di gettito fiscale conseguente, gettati alle ortiche con il solo fine di danneggiare il governo, e chi se ne frega del tanto nominato “popolo”, per non parlare del regalo fatto alle mafie, che potranno continuare ad alimentare il mercato di erba illegale, con profitti mostruosi.
Giova ricordare come durante il ventennio venissero trasmessi documentari magnificanti una delle industrie più prospere dell’Italia di allora: la produzione ed il commercio di fibre di canapa italiana, che hanno armato per secoli le vele delle navi di mezzo mondo, oltre a creare occupazione e distribuzione di ricchezze, in zone depresse come anche il mezzogiorno, ora in ginocchio ormai da tempo immemore (la canapa cresce praticamente ovunque rigogliosa e con grande facilità).
La canapa fu inoltre, in quel periodo, utilizzata come efficentissimo strumento di bonifica delle paludi, tanto voluta da LVI.
Vi chiederete, ora: ma come mai una pianta con così tante proprietà è identificata come il male assoluto?
Perchè dalla pianta si producono due prodotti di punta della prima metà del XX secolo: carburante e carta.
Infatti, dagli scarti della lavorazione della canapa si estrae una sorta di biodiesel, un carburante non molto performante, assolutamente non in grado di alimentare un bolide monoposto di Formula 1, ma abbastanza da muovere trattori e altri mezzi agricoli, rendendo virtualmente indipendenti dal petrolio i paesi a forte vocazione agricola.
Anche il crescente mercato della carta giocò un ruolo determinante in chiave anti-canapa.
Erano gli anni dell’espolosione della carta stampata, quotidiani ed altri periodici spuntavano come funghi, l’alfabetizzazione in diffusione rendeva necessari quaderni e abbecedari, mentre allargava la platea dei possibili lettori di libri.
L’editoria imperversava a destra e a manca ed era legata a doppio filo al business della carta, che qualcuno voleva a base di cellulosa estratta dagli alberi, non dalle fibre della canapa.
E fu così che una pianta, anche con il placet di Mussolini e di altri dopo di lui (vai a sapere per quale cazzo di motivo), venne stigmatizzata e bandita, bruciando opportunità, occupazione, benessere.
Avete intuito bene, ci sono sempre quei simpaticoni degli yankee di mezzo, quando avvengono porcate così.
Eppure, mentre tutto il mondo, USA compresi, si è riorganizzato per liberalizzare la canapa e le sue innumerevoli opportunità, superando quelle ormai datate proibizioni, noi qui siamo ostaggi di quattro padanotti del cazzo, che leccano il culo ai preti e a non si sa bene chi, bruciando investimenti di privati imprenditori, che tanto loro i bei soldoni da parlamentari a casa se li portano tutti i mesi.
Per l’ennesima volta, la politica italiana si dimostra inadeguata, ignorante, indolente, totalmente priva di una visione ampia e di lungo respiro.
Soprattutto distante dalle gente.
Ma pare che alla gente piaccia così.
A dimostrazione che, canapa o non canapa, il cervello ce l’hanno annebbiato comunque.
D.M.